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"L’arte è qualcosa di reale che non c’è"

About me

Si inizia prendendo in mano una matita, poi si passa al pennello e ci si trova pian piano dietro la  architettura dei chiaroscuri, della prospettiva e di tutti gli artifizi della tecnica.
Passare dallo scarabocchio al dipinto è un percorso pieno di insidie, ci si può trovare di fronte ad enigmi possenti quali i fenomeni della materia e quelli dello spirito, così simili e allo stesso modo complessi: la dualità della persona, la ricerca dell’oggettivo e l’imposizione del soggettivo.
Passo in rassegna i miei diversi stati d'animo : mi sembra che ciascuno di essi contenga a suo modo un invito ad agire, e, al tempo stesso, l'autorizzazione ad attendere e persino a non fare niente.
Osservo più da vicino: scopro movimenti iniziati, ma non portati a termine, l'indicazione di una decisione più o meno utile, ma non la costrizione che esclude la scelta.
Riallacciandomi a Freud, mi riconosco nella analisi secondo la quale l’artista, per eternare l’atto creativo, elude se stesso e gli altri; crea una finzione, una bugia prolungata per il prossimo. Beandosi della stessa bellezza dell’opera che ha creato, s’illude di ricevere una divinizzazione terrena.
Ma quando l’artista comprende il significato e il senso stesso del suo cercare, la menzogna non può più essere parte di lui se non come meccanismo stilistico: l’arte si spoglia del mero gioco narcisistico e abbraccia l’uomo nella sua più intima natura.
Io sto lottando per trovare la verità in me stessa. Non uso per me il termine “arte”, è una parola troppo impegnativa, la si deve avvicinare con molta prudenza, con il timore che ci incute tutto ciò che è misterioso.
Tuttavia, la costrizione che esclude la scelta l’ho incontrata relativamente al mio interesse per la creatività, e questo mi assolve nei periodi di dubbi. E’ una costrizione volontaria, a ben vedere!
A volte accettata con in-sofferenza, con rabbia, ma che non smette di portarmi a scoperte nuove, su di me, sul godimento di fruitore di arte, sul piacere dello studio e …sul mio essere “artigiana”.
Sì,  è una ricerca sofferta, rappresenta un coinvolgimento totale, va a toccare quelle energie che hanno necessità di manifestarsi.. Che poi questa abbia o meno una certa valenza, sono il consenso e il consesso in cui si agisce a stabilirlo e non può essere lo scopo finale.
 Un'opera che susciti approvazione mi gratifica ma quello che veramente mi cattura è lo spessore di colore solcato e vivo, la materia che diventa altro, una lacerazione che ferisce, ebbene quello è il senso del tutto.
La materia mi affascina, trasformo opere delicate su seta in tele solide imprigionate nella resina, incisioni su carta diventano “altro” svelate attraverso il loro “alter ego” di solido plexiglas.
Vorrei liberare  la potenza espressiva dei materiali, senza più riferimenti descrittivi, ma rivolgendosi all’essenza, a modulazioni, a ritmi che traducono direttamente l’emozione.
E’ bello dialogare con essa, liberando l’istinto, focalizzando lo sguardo non più sulla apparenza figurale ma sui ritmi (gli andamenti, le scivolate, l’arricciarsi, il contaminarsi in tessiture semplici o complesse, a volte completate da elementi interattivi) come sollecitazioni a un sempre più attento ascolto delle risonanze e delle modificazioni che colore, movimento, forma, materia, luce producono in noi.
I fori e le lacerazioni che non posso fare a meno di infliggere ai manufatti, siano ceramiche, tele o metalli, sono finestre attraverso i quali mi affaccio a curiosare, con occhi di meraviglia infantile, chi sono e dove sono, con il desiderio di indagare quel mistero spirituale che vi è al di là di ogni cosa.
Anche quando poco o niente affiora, quelle emozioni sono in essere, sono lì pronti a riemergere come parte importante di ognuno di noi, come “prigioni” che trovano la forza di liberarsi non appena siamo pronti a riconoscerli.
Il progetto di un'opera è un'intuizione nella mia mente che si concretizza seguendo quell’insieme di forme e di colori che le daranno vita, ove la luce giunga filtrando attraverso la matericità di oggetti solidi scivolando tra i solchi di corrosione impressi su di essi dagli acidi. Il metallo , le resine, gli acidi, ricordano i processi alchemici, vi è una traccia di quel passato che aleggia nell’eterno presente in cui siamo immersi.
Come ha affermato Simon Weil (1909-1943, filosofo francese): “L’arte e’ un tentativo di trasferire in una quantità finita di materia, plasmata dall’uomo, un’immagine della bellezza infinita dell’universo intero. Il tentativo riesce se quella porzione di materia non nasconde l’universo, ma al contrario ne svela la realtà tutto intorno”.
La bellezza che io vedo nelle materie corrose! Un legno sbiancato dal mare è la più inarrivabile delle sculture, un pezzo di lamiera arrugginita dal tempo e dalle intemperie ha una resa di colore che nessuna arte può conferire.
L’ineluttabile processo d’alterazione, che porterebbe alla fine, diventa  una rinascita.

Alla base c’è la vita con tutte le sue cicatrici più o meno evidenti, le diverse emozioni, belle e brutte che ci spingono oltre noi stessi.
L’arte è agire nella vita per conoscerla meglio, darle un significato ed un senso.
Andare oltre l’apparenza immediata, indagare i significati più nascosti alludendo ad una realtà "altra", più significativa di quella immediatamente percepibile e, in definitiva, vivere meglio.
Oggi viviamo una cultura virtuale, caratterizzata da una sempre più consistente perdita di humus, a vantaggio di un prodotto omologato, omogeneizzato, preconfezionato.
L’arte visiva, letteraria o musicale, dovrebbe innescare una progressiva smaterializzazione del sentire, un attraversamento della materia sensibile - ‘trans’ e‘trans-portare’ oltre la propria sensibilità, ‘trans’e ‘trans-vedere’ al di là della materia – provocando una continuità senza soluzioni, senza diaframmi e senza nodi o grumi, tra psichico e fisico, tra spazio intimo e spazio esterno di accadimento.
Forse il significante è la ricerca stessa, il fine al quale si tende è (e deve essere) sempre qualche passo più avanti.


Daniela Domenichini